Il documento presentato alla IV Conferenza Nazionale disabilità

 

– Occorre porre attenzione alla fase di valutazione delle competenze lavorative nel momento della certificazione, al fine di non limitare o negare la possibilità di accedere al mondo del lavoro. La commissione competente deve formulare una diagnosi funzionale della persona con disabilità per individuare la concreta capacità globale, attuale e potenziale della persona. Per individuare la capacità globale è necessario raccogliere informazioni anche sulla situazione sociale, familiare e scolastica della persona con disabilità.

A tal fine si rende necessario dare riconoscimento al valore della documentazione prodotta dai soggetti che possono compilare un corretto bilancio di competenze (anche in funzione dei criteri stabiliti dall’OMS con l’ICF).

Diventa quindi opportuno riconoscere anche alle associazioni, che rispettano determinati requisiti di competenza come quelle aderenti al CoorDown e che si occupano del tema del lavoro, la legittimità di produrre documenti che comprovino le reali competenze e caratteristiche della persona con sD.

Occorre prendere atto che in tutte le regioni le associazioni in questi anni sono state da stimolo nella ricerca di possibilità lavorative, favorendo un fattibile e concreto incontro tra offerta e domanda di lavoro e collaborando con gli interlocutori istituzionali nell’applicazione di quanto previsto dalla normativa, riducendo gli stereotipi che ancora oggi sono presenti nell’opinione pubblica e quindi nelle istituzioni, nei responsabili del personale, nei colleghi di lavoro. Sempre più le aziende riconoscono detto ruolo, svolto anche nel lungo termine per il mantenimento del posto di lavoro, che però spesso non trova un corretto inquadramento in tutte le normative regionali anche a causa della poca chiarezza della legge nazionale. In questo ambito occorre inoltre uniformare e chiarire la normativa sui tirocini lavorativi che non dà, in modo chiaro, la possibilità anche alle associazioni di attivare gli stessi in modo diretto e che si traduce, anche in questo caso, in differenti applicazioni regionali.

Mettersi a fianco delle famiglie e degli operatori per l’impiego pubblici o privati ha contributo a stimolare azioni proattive da parte di tutti i soggetti coinvolgibili in un processo d’inclusione lavorativa riducendo i costi che la collettività deve sostenere nell’azione di ricerca e collocamento delle persone con sD.

Favorire la libera iniziativa per creare nuove forme imprenditoriali capaci di attivare più interlocutori e ridurre l’autoreferenzialità che spesso caratterizza alcuni di questi progetti. In quest’ottica anche la ricerca di mansioni possibili nei contesti pubblici o privati, rivedendo l’organizzazione del gruppo di lavoro diventa un’azione efficace per aumentare le opportunità di inclusione lavorativa.

In un momento in cui il mercato del lavoro subisce in modo così drastico gli effetti della crisi, diventa sempre più facile escludere dallo stesso le persone con disabilità intellettiva, da un lato per non farsi carico dei cambiamenti che questa comporta, dall’altro per non gravare i bilanci aziendali. Proprio per questa ragione occorre rilanciare l’esigenza di favorire e diffondere le ragioni culturali che sottostanno all’idea d’inclusione lavorativa e che in sintesi superano gli stessi contenuti legislativi.

Nascondersi dietro circolari, note, pareri che sono interpretati in una estensione generale, mentre sono da riferirsi a casi specifici, non può diventare la prassi dell’agire delle pubbliche amministrazioni.

Risulta paradossale, se non addirittura illegale, il blocco delle assunzioni delle categorie protette da parte delle P.A. così come è paradossale non prendere in considerazione lo sgravio totale degli oneri di fiscalizzazione per gli enti pubblici ed eventualmente privati che assumono le cosiddette persone appartenenti alle fasce deboli.

I ruoli possibili all’interno di tutti i settori pubblici per le persone con sD permettono sempre e comunque un risparmio per la collettività che può, anziché finanziare progetti di assistenza, utilizzare il loro operato e questo comporta un ulteriore beneficio per tutta la collettività che può così beneficiare del lavoro svolto per e nei territori dove essa vive e si relaziona, realizzando così una vera inclusione.

Ricordiamo anche che le spese, relative all’assunzione di personale appartenente alle categorie protette nell’ambito della percentuale d’obbligo o quota di riserva, non rientrano nel computo delle spese del personale e sono irrilevanti ai vincoli imposti dal patto di stabilità degli Enti Locali.

(Vedasi il recente parere della Corte dei Conti dell’Emilia Romagna n° 60/2013).

La recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che ha condannato l’Italia per non aver rispettato l’impegno di imporre a tutti i datori di lavoro l’adozione di provvedimenti pratici ed efficaci a favore di tutte le persone con disabilità, ha un grande valore sociale e culturale. Le disposizioni della Corte sono in linea con gli obiettivi fissati nel Programma d’azione Italiano per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità redatto dall’Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con disabilità, finalizzati anche a rendere più efficiente il collocamento mirato previsto dalla legge 68/99 e a seguire il lavoratore in tutta la sua attività lavorativa per rimuovere gli eventuali ostacoli che ne impediscono l’adeguata espressione professionale, conciliando anche i tempi di lavoro, cura e vita dello stesso, in linea con i principi della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità.

Chiediamo, dunque, con la forza che ci viene dall’essere anche genitori, che il Governo, in ottemperanza alla sentenza della Corte di Giustizia Ue, metta subito in pratica quanto esplicitato nel Programma, cominciando così a dare delle risposte alle persone con disabilità che più di tutte stanno subendo la crisi che sta investendo la nostra società.

Questa Conferenza è un importante momento di confronto e di verifica della volontà governativa di superare le politiche penalizzanti adottate dagli ultimi governi e per cominciare a compiere azioni che non richiedono modifiche legislative (che implicano tempi più lunghi).

Una di queste è la messa a regime del collocamento mirato che dovrebbe essere una modalità di approccio del collocamento in generale, riferito a qualsiasi cittadino in cerca di occupazione. Infatti, in un sistema organizzato secondo standard europei, la richiesta di occupazione deve essere accolta da personale qualificato che instaura un primo colloquio informativo/orientativo e, successivamente, predispone un percorso d’inserimento. Pertanto, sotto questo profilo il percorso non si differenzia per tipologia di utenti, disabili o normodotati, bensì si differenzia per complessità di progetto elaborato o di strumenti attivati. Infatti, anche la persona normodotata ha bisogno, nell’ottica delle politiche attive del lavoro, di un tutor, vale a dire di qualcuno che lo “accompagni” nella ricerca del lavoro il più mirato possibile a quelle che sono le sue attitudini.

Ma per far questo è necessario un lavoro di formazione e riqualificazione del personale, per attrezzare i Centri per l’Impiego in maniera tale da saper rispondere ai problemi dell’occupazione delle persone con disabilità. La qualificazione del personale dei servizi, tuttavia, non è neanche sufficiente per rispondere alla domanda se non viene affiancata da un sistema a rete fra le strutture/servizi/associazioni presenti nel territorio, attivabili nei singoli percorsi di tirocinio e formazione finalizzata allo sbocco occupazionale ed a cui ciascun servizio per l’impiego dovrà fare riferimento.

Attualmente pesano i ritardi ed i gravi squilibri, tutt’ora evidenti, dei servizi preposti all’inserimento lavorativo che sono presenti in modo disomogeneo sul territorio nazionale rimarcando la differenza fra il Nord e il Sud del paese. E’ importante giungere ad attenuare le differenze esistenti fra i servizi al fine di garantire a tutte le persone con disabilità pari opportunità sia di accesso che di qualità di prestazione offerta dai Centri per l’Impiego.

Questo deve essere il primo obiettivo che si deve esigere da una struttura pubblica, assolvendo così efficacemente al compito di intervenire nelle politiche attive per il lavoro in quanto non comporta oneri eccessivi, ma soltanto un cambio di passo.

Per conseguire questo obiettivo significa anche definire degli standard minimi di qualità a cui ciascuna struttura dovrà adeguarsi lasciando comunque ampio spazio agli standard organizzativi specifici per territorio, nel rispetto dell’autonomia regionale.

Ciascuna amministrazione può decidere l’organizzazione strutturale dei servizi, in relazione alle caratteristiche del mercato del lavoro locale, purché tale organizzazione sia funzionale alla realizzazione degli obiettivi previsti dalla normativa vigente in materia di inserimento ed integrazione lavorativa. Normativa che, secondo la Corte di Giustizia dell’UE, “per trasporre correttamente e completamente l’articolo 5 della direttiva 2000/78 non è sufficiente disporre misure pubbliche di incentivo e di sostegno, ma è compito degli Stati membri imporre a tutti i datori di lavoro l’obbligo di adottare provvedimenti efficaci e pratici, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, a favore di tutti i disabili, che riguardino i diversi aspetti dell’occupazione e delle condizioni di lavoro e che consentano a tali persone di accedere ad un lavoro, di svolgerlo, di avere una promozione o di ricevere una formazione.”

Per le persone con disabilità sarebbe già un notevole traguardo se fosse applicata la normativa vigente, sia pur con le limitazioni riscontrate dalla Corte di Giustizia dell’UE.

Purtroppo, in Italia solo il 16% delle persone con disabilità lavora, (anche se sarebbe più opportuno definire che  la disoccupazione si attesta all’84% ed è molto più alta la percentuale delle persone con disabilità intellettiva) negando loro la possibilità di rendersi utili, di produrre, di guadagnarsi uno stipendio e di progettare la propria vita e un futuro dignitoso. Tutto ciò viene loro negato non soltanto dalla mancanza di cultura, ma cosa assai più grave da un sistema che non si attiva in modo adeguato ed efficace a far si che almeno le leggi vengano rispettate.

Auspichiamo che la vicinanza alle persone con disabilità e alle loro famiglie continuamente manifestata dalle autorità nazionali e locali, possa concretizzarsi correggendo le storture esistenti, anche perché il grado di civiltà di una società si misura dalle politiche sociali attivate.